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Biopsia liquida: cos’è e a cosa serve 

Biopsia liquida e biopsia tradizionale sono la stessa pratica? 
Ebbene, no: cominciamo chiarendo questo punto. 

Nonostante la denominazione simile, siamo di fronte a due esami diversi. La biopsia tradizionale, detta anche tissutale, si esegue esportando un frammento o un intero tessuto che potrebbe essere interessato dal cancro. La procedura ha livelli di invasività che cambiano in base alla sede interessata e si esegue di solito per confermare la diagnosi di tumore o per valutarne la gravità quando la diagnosi è già avvenuta. 

La biopsia liquida, invece, è così definita perché viene eseguita sul sangue, di solito attraverso un comune prelievo. L’obiettivo di questa indagine è analizzare il DNA tumorale circolante o le cellule tumorali circolanti nel sangue, ossia quelle cellule neoplastiche che si separano dalla sede primaria del cancro e finiscono per distribuirsi nel sangue. 

Questo esame, al momento, viene utilizzato a scopo predittivo, non diversamente da quanto avviene con i test genomici. Ciò implica che l’esecuzione della biopsia liquida abbia luogo a tumore già diagnosticato, per monitorare l’evoluzione della malattia e avere quindi informazioni utili per definire un iter terapeutico efficace. Trattandosi di un test per nulla invasivo, inoltre, c’è la possibilità di ripeterlo periodicamente

Al momento la biopsia liquida è utilizzata solo in alcuni tumori, ad esempio nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) con mutazione del gene EGFR. 

Lo studio BioltaLEE 

Lo studio BioltaLEE, condotto da un team di ricerca interamente italiano, è stato presentato all’ultimo Congresso dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology) allo scopo di valutare la capacità predittiva di questo test nelle pazienti con tumore al seno ormonosensibile in stadio avanzato, già precedentemente trattate con una combinazione di letrozolo e ribociclib, rispettivamente un inibitore dell’aromatasi e un inibitore di CDK4/6. 

Nello specifico, lo studio ha dimostrato come l’analisi di due biomarcatori, la timidina chinasi 1 e il DNA tumorale circolante, eseguita attraverso biopsia liquida, possa fornire indicazioni sull’andamento della terapia, sul rischio di progressione della malattia e sull’eventualità di sviluppare resistenza ai farmaci. 

Mentre lo studio BioltaLEE si concentra sulla possibilità di utilizzare questo esame per ottenere informazioni prognostiche e predittive sulla malattia già in corso, altre sperimentazioni stanno tentando di chiarire se la biopsia liquida possa essere adoperata anche per raffinare la diagnosi precoce.   

Lo studio PATHFINDER 

PATHFINDER è il nome dello studio che sta indagando sulle potenzialità diagnostiche della biopsia liquida. 

Alla base di questa sperimentazione c’è la ricerca di segni di metilazione nel DNA libero circolante dei partecipanti allo studio, ossia oltre 6000 individui che al momento dell’arruolamento non avevano ricevuto diagnosi di tumore. In altri termini, lo studio PATHFINDER punta a comprendere se e come sia possibile rintracciare nel sangue di persone apparentemente sane i primi “segnali” di un tumore, rendendo così molto più rapida la diagnosi. 

I primi risultati dello studio hanno confermato la positività alla ricerca per l’1,4% dei partecipanti. Questo esito è stato successivamente approfondito attraverso ulteriori esami, che hanno confermato la diagnosi di tumore in quasi il 40% delle persone rilevate come positive dal test. 

Sulle prospettive future dello studio PATHFINDER abbiamo intervistato il prof. Antonio Russo, ordinario di Oncologia Medica all’Università di Palermo, per un punto di vista più approfondito.