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Rifugiati e migranti: difficile l’accesso alle cure 

Su rifugiati e migranti il dibattito è sempre vivo. Gli aspetti su cui l’opinione pubblica si concentra più spesso, però, raramente includono l’accesso ai servizi sanitari, oncologici e non. Diversi rapporti e studi apparsi negli ultimi anni, invece, si sono focalizzati proprio sul tema delle difficoltà di questi pazienti nel ricevere le cure necessarie. 

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato abbiamo provato a fare il punto sulle evidenze scientifiche disponibili sulla questione. 

La salute dei profughi: il rapporto OMS 

Sulla salute dei profughi un documento su tutti emerge per rilevanza: il rapporto “Report on the health of refugees and migrants in the WHO European Region”, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2019. 

Dal report emergono una serie di criticità, delle quali elenchiamo le più rilevanti: 

  1. La salute di rifugiati e migranti può essere minata dalle condizioni di vita del paese di provenienza, ma anche dall’assenza di cure adeguate durante la transizione da un paese all’altro; 
  1. L’accesso ai servizi sanitari è complicato da vari fattori, come le difficoltà nel comprendere la lingua del paese di arrivo, lo stato giuridico assegnato al rifugiato e, più in generale, il senso di esclusione verso un assetto socioculturale diverso dal proprio; 
  1. Rifugiati e migranti sono maggiormente esposti al ritardo diagnostico rispetto alla media della popolazione ospitante, che riesce ad ottenere diagnosi più precoci. La scoperta tardiva, chiaramente, incide sull’esito del percorso terapeutico. 
  1. Il tasso di incidenza dei tumori correlati a malattie infettive è più alto tra rifugiati e migranti che nella popolazione ospitante. Alcuni esempi sono il cancro alla cervice (quasi sempre causato dal virus HPV), ma anche il cancro al fegato, allo stomaco e alcuni linfomi. 
  1. Una revisione della letteratura scientifica di 27 paesi europei diversi ha dimostrato che le donne appartenenti a minoranze etniche vengono spesso escluse dai programmi di screening per il cancro al seno. 

In Ucraina il conflitto mette a rischio le cure 

L’Ucraina, per via del conflitto iniziato lo scorso anno, è uno dei territori su cui è ricaduta l’attenzione degli scienziati impegnati a valutare l’impatto della guerra sulla salute collettiva. Un articolo apparso su Lancet nel 2022, ad esempio, ha evidenziato come i pazienti oncologici in fuga dalla regione avranno maggiori difficoltà nel proseguire le cure, per diversi motivi. 

Alcuni esempi: 

  • Spessissimo rifugiati e migranti si spostano verso il paese di destinazione senza documenti di identità e senza cartelle cliniche aggiornate; 
  • I sistemi sanitari di buona parte dell’Europa sono già stati messi alla prova dalla pandemia da Covid-19, e per essi l’arrivo di nuovi pazienti oncologici potrebbe risultare ingestibile; 
  • Tra pazienti e specialisti ci sono quasi sempre delle barriere linguistiche che rendono complessa la gestione della patologia; 
  • Le terapie prescritte in Ucraina potrebbero non essere sempre disponibili nel paese di destinazione. 

A complicare il quadro c’è il contesto oncologico del paese: secondo i dati dell’OMS, l’Ucraina ha uno dei tassi di mortalità per cancro infantile più alti del mondo, ed il suo sistema sanitario era connotato dalle disparità già prima che il conflitto si sviluppasse.  

Ciò che sta accadendo nella vicina Ucraina, lo sappiamo bene, non è un caso isolato. Ogni giorno nuovi conflitti nascono in paesi vicini e lontani da noi, mettendo a rischio la vita di milioni di persone. La consapevolezza dei rischi per la salute di chi resta nel paese teatro di guerra – ma anche di chi lo abbandona in cerca di salvezza – dovrà guidare l’Europa verso l’adozione di sistemi sanitari più accoglienti e più inclusivi.